Un racconto per amare di più la natura e meno il cellulare: "Il Bosco Incantato di Pixel" (creato da Copilot microsoft)

**Il Bosco Incantato di Pixel** C'era una volta un bosco incantato chiamato Pixel, dove gli alberi sussurravano storie antiche e i fiori danzavano al ritmo del vento. In questo bosco magico, viveva un piccolo folletto di nome Luce, che aveva il potere di far brillare le cose con un semplice tocco. Un giorno, Luce notò che i bambini del villaggio vicino passavano tutto il loro tempo a fissare dei piccoli rettangoli luminosi, chiamati cellulari, dimenticandosi di giocare all'aria aperta. Preoccupato, Luce decise di usare la sua magia per mostrare ai bambini la bellezza della natura. Con un pizzico di polvere di stelle, Luce fece sì che ogni cellulare mostrasse immagini del bosco incantato. Gli alberi sembravano così reali che i bambini sentirono il profumo del muschio e il canto degli uccellini. Incantati, misero da parte i cellulari e corsero verso il bosco. Arrivati nel bosco, i bambini scoprirono un mondo di meraviglie. Inseguirono farfalle arcobaleno, costruirono castelli di

Lettura, comprensione, interpretazione del testo, approfondimenti grammaticali, per la scuola media inferiore.

< Cloridano e Medoro: un’impresa disperata

Nel campo dei Mori non si udivano che gemiti e lamenti: alcuni soffrivano per le ferite riportate in battaglia, altri piangevano gli amici morti che giacevano abbandonati sul campo. Tra i Mori c’erano due giovani legati da un grande affetto: Cloridano e Medoro.
Tanto nella buona quanto nella cattiva sorte essi avevano sempre amato il loro re Dardinello, che avevano anche seguito in Francia.
Cloridano era stato un cacciatore e aveva una figura slanciata e, allo stesso tempo, robusta. Medoro aveva le guance rosee proprie della giovinezza, un viso bello e gaio, occhi neri, capelli biondi e ricciuti: era talmente bello da sembrare un angelo. A mezzanotte i due amici sorvegliavano l’accampamento. Medoro in ogni suo discorso non poteva fare a meno di ricordare il suo signore, Dardinello d’Almonte, e di addolorarsi al pensiero che sarebbe rimasto privo di un’onorevole sepoltura. Disse allora a Cloridano: - Non so dirti quanto mi dispiaccia che egli sia là sul terreno, preda di lupi e di corvi. Il mio re è stato tanto generoso con me, che se pure sacrificassi la mia vita per rendergli onore, non sarei sciolto dagli obblighi immensi che ho verso di lui. Andrò a cercare il suo corpo perché non resti insepolto, e forse Dio mi consentirà di raggiungere di nascosto l’accampamento di re Carlo. Tu resterai qui perché, se io dovessi morire, potrai almeno raccontare la mia impresa e svelare le mie buone intenzioni.
Cloridano si stupì che un ragazzo avesse tanto coraggio, tanto amore e tanta fedeltà; cercò di dissuaderlo, ma invano, perché il dolore di Medoro era troppo intenso e il giovinetto era già deciso a seppellire il suo signore o a morire.
Poiché non riusciva a distoglierlo dal suo proposito, Cloridano disse:
-Verrò con te, voglio compiere anche io imprese tanto memorabili, anche io desidero una morte gloriosa. Del resto, che cosa potrebbe più farmi piacere, se io restassi senza di te? È meglio morire con te con le armi in pugno, piuttosto che morire poi di dolore se dovessi perderti.
Si fecero sostituire, allora, dalle sentinelle del turno successivo e si misero in cammino.
Dopo aver oltrepassato fosse e steccati, giunsero nell’accampamento dei cristiani. I fuochi erano spenti e tutti dormivano perché, dopo la vittoria del giorno precedente, si preoccupavano poco dei Saraceni. Giacevano tra le armi e i carri, storditi dal vino immersi nel sonno.
Cloridano si fermò ed esclamò: - Non bisogna mai perdere le buone occasioni. E poi, non dovrei vendicarmi di chi ha trafitto il mio signore? Tu sta’ di guardia, mentre io ti farò strada tra i nemici.
Dopo queste parole, tacque ed entrò nella tenda dove dormiva il dotto Alfeo, medico e mago alla corte di re Carlo; egli era un esperto astrologo, ma quella volta la sua scienza non gli era stata certo di aiuto: aveva predetto a se stesso che sarebbe morto in età avanzata tra le braccia di sua moglie. Invece Cloridano gli trafisse la gola; uccise poi altri quattro uomini, che non ebbero il tempo di dire una parola e, dopo questi, colpì Palidone da Moncalieri, che dormiva tranquillo in mezzo a due cavalli.
Giunse infine accanto al povero Grillo, che giaceva col capo appoggiato al barile: lo aveva vuotato e aveva creduto di godersi placidamente un buon sonno. Anche a lui Cloridano riservò la stessa sorte.
Uccise poi un greco e un tedesco, che avevano passato la notte a bere e a giocare a dadi, e che avrebbero invece fatto bene a vegliare e a giocare fino all’alba, così non sarebbero stati sorpresi dai nemici. Ma il destino non avrebbe potere sugli uomini, se ciascuno conoscesse il proprio futuro.
Come un leone affamato in una stalla uccide e divora il debole gregge ormai in sua balìa, così il crudele guerriero pagano uccise nel sonno i cristiani; e la spada di Medoro non fu da meno.
Erano ormai vicini ai padiglioni che i paladini avevano eretto intorno a quello di Carlo, montando a turno la guardia, quando decisero di allontanarsi perché sembrava loro impossibile che proprio nessuno fosse rimasto sveglio.
Cloridano si inoltrava lì dove credeva di trovare passaggi sicuri, e dietro di lui andava Medoro. Giunti nel campo, videro giacere in un lago di sangue poveri e ricchi, re e vassalli, uomini e cavalli, gli uni sugli altri.
Quell’orrendo miscuglio di corpi avrebbe potuto rendere vana l’impresa; tuttavia, Medoro alzò gli occhi al cielo e pregò la Luna: - O santa dea, che sei invocata dagli uomini con molti nomi, mostrami, ti prego, dove giace il mio re.
La Luna si mostrò allora in tutto il suo splendore e uscendo dalle nuvole illuminò Parigi e i due campi nemici, il monte e la pianura. E la sua luce brillò molto più chiara sul luogo in cui giaceva Dardinello.
Medoro ne riconobbe subito l’insegna bianca e rossa, lo raggiunse piangendo e gli bagnò il viso di lacrime. Si lamentava e gemeva con voce sommessa, non perché temesse per la propria vita, ma per timore che gli fosse impedito di portare a termine l’impresa.
I due amici presero sulle spalle il corpo di Dardinello e, sotto quell’amato peso, affrettarono il passo.
Il sole stava già sorgendo, quando Zerbino, che era stato tutta la notte a combattere i Mori, tornò al suo accampamento. Aveva con se molti cavalieri, alcuni dei quali scorsero da lontano i due compagni.
-Amico mio – disse Cloridano – bisogna abbandonare questo peso e fuggire, perché non sarebbe una buona idea che due vivi morissero per salvare un morto. – E gettò il carico, pensando che anche Medoro avrebbe fatto altrettanto.
Ma il poveretto, che amava moltissimo il suo signore, lo resse tutto sulle proprie spalle, mentre Cloridano fuggiva via in fretta, sicuro di avere con sé l’amico. Se avesse saputo di averlo abbandonato a un triste destino, avrebbe preferito aspettare la morte non una volta sola, ma almeno mille.
I cavalieri, decisi a far sì che i due si arrendessero o morissero, si sparpagliarono, occupando tutti i passaggi dai quali essi sarebbero potuti fuggire.
I due guerrieri pagani si inoltrarono in un folto bosco, intricato come un labirinto e abitato solo dalle belve, sperando di essere protetti dai suoi rami.
Medoro cercava di salvarsi, ma il peso che aveva sulle spalle rendeva inutili i suoi tentativi di fuga. Non conoscendo la zona, sbagliava strada e tornava a invilupparsi tra gli arbusti spinosi.
Cloridano, invece, alleggerito del peso, si era già messo in salvo, e ormai non sentiva più le grida e il tumulto degli inseguitori. Ma all’improvviso si accorse di essere ormai lontano da Medoro; gli sembrò allora di aver lasciato dietro di sé il suo stesso cuore, ed esclamò: - Oh, come sono stato negligente, come sono stato fuori di me, io che mi sono rifugiato qui senza di te, e che non so neppure dove e quando ti ho perduto!
Così dicendo, tornò sui propri passi, seguendo le orme della propria morte.
Udì allora le grida e lo scalpitìo dei cavalli e le minacciose voce dei nemici. Infine vide il suo Medoro, solo a piedi in mezzo ad almeno cento cavalieri.
Zerbino gridava di catturarlo, mentre l’infelice giovinetto si girava e rigirava, difendendosi alla meglio e nascondendosi dietro gli alberi, ma senza mai abbandonare il corpo del suo signore. Quando non poté più reggerlo lo posò sull’erba e gli girava intorno, come un’orsa assalita dai cacciatori nella sua tana, che protegge i suoi cuccioli, incerta tra la rabbia contro gli intrusi e la pietà verso i figli.
Cloridano, non trovando alcun modo di aiutare l’amico, aveva ormai deciso di morire con lui, ma non senza aver prima ucciso parecchi nemici. Scoccò allora una freccia e passò da parte a parte uno scozzese, che cadde da cavallo senza vita.
Tutti si volsero dalla sua parte e, mentre uno dei cavalieri domandava da dove fosse venuto il dardo, Cloridano lo trafisse, troncandogli le parole nella gola.
A questo punto Zerbino corse infuriato verso Medoro, gridando: - Sarai tu a pagare! – e, afferratolo per i capelli, lo trascinò violentemente verso di sé. Ma quando vide il suo viso così bello ne ebbe pietà e non si sentì di ucciderlo.
Medoro allora lo pregò: - Cavaliere, in nome del tuo Dio, non essere tanto crudele da negarmi diseppellire il corpo del mio re. Non voglio da te altri gesti di pietà: non desidero vivere, se non fino al momento in cui avrò sepolto il mio signore. Se vuoi che il mio corpo sia divorato dalle fiere e dagli avvoltoi, lascia almeno che io seppellisca il suo.
Medoro parlava con tanta grazia che le sue parole avrebbero smosso una montagna, e Zebrino era già molto turbato e commosso, ma in quel momento un cavaliere poco rispettoso del suo signore colpì con la sua lancia il delicato petto di Medoro.
Vedendo cadere il giovinetto saraceno, Zerbino pensò che fosse morto. Si addolorò tanto per quell’atto barbaro e crudele che, sdegnato, si volse verso il cavaliere malvagio con l’intenzione di vendicare Medoro. Ma l’altro intuì le sue intenzioni e fuggì via.
Cloridano, vedendo a terra il caro amico, saltò fuori dal suo nascondiglio, gettò l’arco e, pieno di rabbia, ruotò la spada fra i nemici, più per desiderio di morire che per vendicarsi.
Colpito molte volte, vide la sabbia arrossarsi del proprio sangue; si accorse allora di essere vicino alla morte e, sentendosi ormai mancare le forze, si lasciò cadere accanto al suo Medoro.

Analisi e comprensione del testo

Personaggi

I due protagonisti sono diversi per età, caratteristiche carattere.

  • Quale dei due è di maggiore età? Quali espressioni lo dimostrano?
  • Prova a descrive, in poche righe, Cloridano e Medoro.
L'ambiente
  • In che periodo storico si svolge la storia?
  • Ricerca sul vocabolario o su internet le seguenti parole e scrivine il significato: feudo, feudatario, vassallo, valvassore.
Approfondimenti linguistici
  • Scegli nel brano 10 aggettivi qualificativi ed esegui l'analisi grammaticale:
Esempio:
slanciata = aggettivo qualificativo di grado positivo femminile singolare
  • Prova a descrivere il tuo migliore amico
Esegui l'analisi grammaticale del seguente brano estrapolato dal testo:

"Cloridano, vedendo a terra il caro amico, saltò fuori dal suo nascondiglio, gettò l’arco e, pieno di rabbia, ruotò la spada fra i nemici, più per desiderio di morire che per vendicarsi."


Cloridano = nome proprio di persona maschile

vedendo = voce del verbo vedere 2^ coniugazione modo gerundio tempo presente

a = preposizione semplice

terra = nome comune di cosa femminile singolare

il = articolo determinativo maschile singolare

caro = aggettivo qualificativo di grado positivo maschile singolare

amico = nome comune di persona maschile singolare,

saltò = voce del verbo saltare 1^ coniugazione modo indicativo tempo passato remoto 3^ persona singolare

fuori = avverbio di luogo

dal = preposizione articolata formata da da + il

suo = aggettivo possessivo maschile singolare

nascondiglio = nome comune di cosa maschile singolare

gettò = voce del verbo gettare 1^ coniugazione modo indicativo tempo passato remoto 3^ persona singolare

lo = articolo determinativo maschile singolare

arco = nome comune di cosa maschile singolare

e = congiunzione

pieno = aggettivo qualificativo di gradom positivo maschile singolare

di = preposizione semplice

rabbia = nome comune di cosa femminile singolare

ruotò = voce del verbo ruotare 1^ coniugazione modo indicativo tempo passato remoto 3^ persona singolare

la = articolo determinativo femminile singolare

spada = nome comune di cosa femminile singolare

più = avverbio di quantità

per = preposizione semplice

desiderio = nome comune di cosa maschile singolare

di = preposizione semplice

morire = voce del verbo morire 3^ coniugazione mdo infinito tempo presente

che = congiunzione

di = preposizione semplice

vendicar (si) = voce del verbo vendicare 1^ coniugazione modo infinito tempo presente

sé = pronome personale con funzione di complemento


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