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Un racconto per amare di più la natura e meno il cellulare: "Il Bosco Incantato di Pixel" (creato da Copilot microsoft)

**Il Bosco Incantato di Pixel** C'era una volta un bosco incantato chiamato Pixel, dove gli alberi sussurravano storie antiche e i fiori danzavano al ritmo del vento. In questo bosco magico, viveva un piccolo folletto di nome Luce, che aveva il potere di far brillare le cose con un semplice tocco. Un giorno, Luce notò che i bambini del villaggio vicino passavano tutto il loro tempo a fissare dei piccoli rettangoli luminosi, chiamati cellulari, dimenticandosi di giocare all'aria aperta. Preoccupato, Luce decise di usare la sua magia per mostrare ai bambini la bellezza della natura. Con un pizzico di polvere di stelle, Luce fece sì che ogni cellulare mostrasse immagini del bosco incantato. Gli alberi sembravano così reali che i bambini sentirono il profumo del muschio e il canto degli uccellini. Incantati, misero da parte i cellulari e corsero verso il bosco. Arrivati nel bosco, i bambini scoprirono un mondo di meraviglie. Inseguirono farfalle arcobaleno, costruirono castelli di

"Pinocchio" di Carlo Collodi, capitolo III: "Geppetto, tornato a casa, comincia subito a fabbricarsi il burattino e gli mette il nome di Pinocchio. Prime monellerie del burattino".

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III Geppetto, tornato a casa, comincia subito a fabbricarsi il burattino e gli mette il nome di Pinocchio. Prime monellerie del burattino. La casa di Geppetto era una stanzina terrena, che pigliava  luce da un sottoscala. La mobilia non poteva essere  più semplice: una seggiola cattiva, un letto poco buono e  un tavolino tutto rovinato. Nella parete di fondo si vedeva  un caminetto col fuoco acceso; ma il fuoco era dipinto, e  accanto al fuoco c’era dipinta una pentola che bolliva allegramente  e mandava fuori una nuvola di fumo, che pareva  fumo davvero. Appena entrato in casa, Geppetto prese subito gli arnesi  e si pose a intagliare e a fabbricare il suo burattino. – Che nome gli metterò? – disse fra sé e sé. – Lo voglio  chiamar Pinocchio. Questo nome gli porterà fortuna.  Ho conosciuto una famiglia intera di Pinocchi: Pinocchio  il padre, Pinocchia la madre e Pinocchi i ragazzi, e tutti se  la passavano bene. Il più ricco di loro chiedeva l’elemosina. Quando ebbe trovato

"Pinocchio" di Carlo Collodi, capitolo IV: "La storia di pinocchio col Grillo-parlante dove si vede come i ragazzi cattivi hanno a noia di sentirsi correggere da chi ne sa più di loro".

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IV La storia di Pinocchio col Grillo-parlante, dove si vede come i ragazzi cattivi hanno a noia di sentirsi correggere da chi ne sa più di loro. Vi dirò dunque, ragazzi, che mentre il povero Geppetto  era condotto senza sua colpa in prigione, quel monello  di Pinocchio, rimasto libero dalle grinfie del carabiniere, se  la dava a gambe giù attraverso ai campi, per far più presto  a tornarsene a casa; e nella gran furia del correre saltava  greppi altissimi, siepi di pruni e fossi pieni d’acqua, tale e  quale come avrebbe potuto fare un capretto o un leprottino  inseguito dai cacciatori. Giunto dinanzi a casa, trovò l’uscio di strada socchiuso. Lo spinse, entrò dentro, e appena ebbe messo tanto di paletto,  si gettò a sedere per terra, lasciando andare un gran  sospirone di contentezza. Ma quella contentezza durò poco, perché sentì nella  stanza qualcuno che fece: – Crì - crì - crì! – Chi è che mi chiama? – disse Pinocchio tutto impaurito. – Sono io! Pinocchio

"Pinocchio" di Carlo collodi, capitolo V: "Pinocchio ha fame, e cerca un uovo per farsi una frittata; ma sul più bello la frittata gli vola via dalla finestra".

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V Pinocchio ha fame, e cerca un uovo per farsi una frittata; ma sul più bello la frittata gli vola via dalla finestra.  Intanto cominciò a farsi notte, e Pinocchio, ricordandosi  che non aveva mangiato nulla, sentì un’uggiolina allo  stomaco, che somigliava moltissimo all’appetito. Ma l’appetito nei ragazzi cammina presto; e di fatti  dopo pochi minuti l’appetito diventò fame, e la fame, dal  vedere al non vedere, si converti in una fame da lupi, una  fame da tagliarsi col coltello. Il povero Pinocchio corse subito al focolare, dove c’era  una pentola che bolliva e fece l’atto di scoperchiarla, per  vedere che cosa ci fosse dentro, ma la pentola era dipinta  sul muro. Figuratevi come restò. Il suo naso, che era già  lungo, gli diventò più lungo almeno quattro dita. Allora si dette a correre per la stanza e a frugare per  tutte le cassette e per tutti i ripostigli in cerca di un po’ di  pane, magari un po’ di pan secco, un crosterello, un osso  avanzato al cane, un p

"Pinocchio" di Carlo Collodi, capitolo VI: "Pinocchio si addormenta coi piedi sul caldano, e la mattina dopo si sveglia coi piedi tutti bruciati".

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VI Pinocchio si addormenta coi piedi sul caldano, e la mattina dopo si sveglia coi piedi tutti bruciati. Per l’appunto era una nottataccia d’inferno. Tuonava  forte forte, lampeggiava come se il cielo pigliasse fuoco, e  un ventaccio freddo e strapazzone, fischiando rabbiosamente  e sollevando un immenso nuvolo di polvere, faceva  stridere e cigolare tutti gli alberi della campagna. Pinocchio aveva una gran paura dei tuoni e dei lampi: se non che la fame era più forte della paura: motivo per  cui accostò l’uscio di casa, e presa la carriera, in un centinaio  di salti arrivò fino al paese, colla lingua fuori e col fiato  grosso, come un cane da caccia. Ma trovò tutto buio e tutto deserto. Le botteghe erano  chiuse; le porte di casa chiuse; le finestre chiuse; e nella  strada nemmeno un cane. Pareva il paese dei morti. Allora Pinocchio, preso dalla disperazione e dalla fame,  si attaccò al campanello d’una casa, e cominciò a suonare a  distesa, dicendo dentro di sé:

"Pinocchio" di Carlo Collodi, capitolo VII: "Geppetto torna a casa, e dà al burattino la colazione che il pover'uomo aveva portata con sè".

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VII Geppetto torna a casa, e dà al burattino la colazione che il pover'uomo aveva portata con sè. Il povero Pinocchio, che aveva sempre gli occhi fra il  sonno, non s’era ancora avvisto dei piedi, che gli si erano  tutti bruciati: per cui appena sentì la voce di suo padre,  schizzò giù dallo sgabello per correre a tirare il paletto; ma  invece, dopo due o tre traballoni, cadde di picchio tutto  lungo disteso sul pavimento. E nel battere in terra fece lo stesso rumore, che avrebbe  fatto un sacco di mestoli cascato da un quinto piano. – Aprimi! – intanto gridava Geppetto dalla strada. – Babbo mio, non posso, – rispondeva il burattino  piangendo e ruzzolandosi per terra. – Perché non puoi? – Perché mi hanno mangiato i piedi. – E chi te li ha mangiati? – Il gatto, – disse Pinocchio, vedendo il gatto che colle  zampine davanti si divertiva a far ballare alcuni trucioli di  legno. – Aprimi, ti dico! – ripeté Geppetto, – se no quando  vengo in casa, il gatto

"Pinocchio di Carlo Collodi, capitolo VIII: "Geppetto rifà i piedi a Pinocchio e vende la propria casacca per comprargli l'abbecedario".

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Capitolo VIII Geppetto rifà i piedi a Pinocchio e vende la propria casacca per comprargli l'abbecedario. Il burattino, appena che si fu levata la fame, cominciò  subito a bofonchiare e a piangere, perché voleva un paio  di piedi nuovi. Ma Geppetto, per punirlo della monelleria fatta lo lasciò  piangere e disperarsi per una mezza giornata: poi gli  disse: – E perché dovrei rifarti i piedi? Forse per vederti  scappar di nuovo da casa tua? – Vi prometto, – disse il burattino singhiozzando, –  che da oggi in poi sarò buono... – Tutti i ragazzi, – replicò Geppetto, – quando vogliono  ottenere qualcosa, dicono così. – Vi prometto che anderò a scuola, studierò e mi farò  onore... – Tutti i ragazzi, quando vogliono ottenere qualcosa,  ripetono la medesima storia. – Ma io non sono come gli altri ragazzi! Io sono più  buono di tutti e dico sempre la verità. Vi prometto, babbo,  che imparerò un’arte e che sarò la consolazione e il bastone  della vostra vecchiaia.

"Pinocchio" di Carlo Collodi, capitolo IX: "Pinocchio vende l'abbecedario per andare a vedere il teatro dei burattini".

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IX Pinocchio vende l'abbecedario per andare a vedere il teatro dei burattini. Smesso che fu di nevicare, Pinocchio col suo bravo  Abbecedario nuovo sotto il braccio, prese la strada che  menava alla scuola: e strada facendo, fantasticava nel suo  cervellino mille ragionamenti e mille castelli in aria, uno  più bello dell’altro. E discorrendo da sé solo diceva: – Oggi, alla scuola, voglio subito imparare a leggere: domani poi imparerò a scrivere e domani l’altro imparerò  a fare i numeri. Poi, colla mia abilità, guadagnerò molti  quattrini e coi primi quattrini che mi verranno in tasca, voglio  subito fare al mio babbo una bella casacca di panno.  Ma che dico di panno? Gliela voglio fare tutta d’argento e  d’oro, e coi bottoni di brillanti. E quel pover’uomo se la  merita davvero: perché, insomma, per comprarmi i libri e  per farmi istruire, è rimasto in maniche di camicia... a questi freddi! Non ci sono che i babbi che sieno capaci di certi  sacrifizi!... Mentre tutto com

"Pinocchio" di Carlo Collodi, capitolo X: "I burattini riconoscono il loro fratello Pinocchio e gli fanno una grandissima festa; ma sul più bello, esce fuori il burattinaio Mangiafoco, e Pinocchio corre il pericolo di fare una brutta fine".

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X I burattini riconoscono il loro fratello Pinocchio e gli fanno una grandissima festa; ma sul più bello, esce fuori il burattinaio Mangiafoco, e Pinocchio corre il pericolo di fare una brutta fine.  Quando Pinocchio entrò nel teatrino delle marionette, accadde un fatto che destò mezza rivoluzione. Bisogna sapere che il sipario era tirato su e la commedia  era già incominciata. Sulla scena si vedevano Arlecchino e Pulcinella, che bisticciavano  fra di loro e, secondo il solito, minacciavano da  un momento all’altro di scambiarsi un carico di schiaffi e  di bastonate. La platea, tutta attenta, si mandava a male dalle grandi  risate, nel sentire il battibecco di quei due burattini, che  gestivano e si trattavano d’ogni vitupero con tanta verità,  come se fossero proprio due animali ragionevoli e due  persone di questo mondo. Quando all’improvviso, che è che non è, Arlecchino smette di recitare, e voltandosi verso il pubblico e accennando  colla mano qualcuno in fondo alla p

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