Un racconto per amare di più la natura e meno il cellulare: "Il Bosco Incantato di Pixel" (creato da Copilot microsoft)

**Il Bosco Incantato di Pixel** C'era una volta un bosco incantato chiamato Pixel, dove gli alberi sussurravano storie antiche e i fiori danzavano al ritmo del vento. In questo bosco magico, viveva un piccolo folletto di nome Luce, che aveva il potere di far brillare le cose con un semplice tocco. Un giorno, Luce notò che i bambini del villaggio vicino passavano tutto il loro tempo a fissare dei piccoli rettangoli luminosi, chiamati cellulari, dimenticandosi di giocare all'aria aperta. Preoccupato, Luce decise di usare la sua magia per mostrare ai bambini la bellezza della natura. Con un pizzico di polvere di stelle, Luce fece sì che ogni cellulare mostrasse immagini del bosco incantato. Gli alberi sembravano così reali che i bambini sentirono il profumo del muschio e il canto degli uccellini. Incantati, misero da parte i cellulari e corsero verso il bosco. Arrivati nel bosco, i bambini scoprirono un mondo di meraviglie. Inseguirono farfalle arcobaleno, costruirono castelli di

"Pinocchio" di Carlo Collodi, capitolo XXVI: "Pinocchio va co' suoi compagni di scuola in riva al mare, per vedere il terribile Pescecane".

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XXVI
Pinocchio va co' suoi compagni di scuola in riva al mare, per vedere il terribile Pescecane

Il giorno dopo Pinocchio andò alla scuola comunale.
Figuratevi quelle birbe di ragazzi, quando videro entrare nella loro scuola un burattino! Fu una risata, che non finiva più. Chi gli faceva uno scherzo, chi un altro; chi gli levava il berretto di mano; chi gli tirava il giubbettino di dietro; chi si provava a fargli coll’inchiostro due grandi baffi sotto il naso; e chi si attentava perfino a legargli dei fili ai piedi e alle mani per farlo ballare.
Per un poco Pinocchio usò disinvoltura e tirò via; ma
finalmente, sentendosi scappar la pazienza, si rivolse a quelli, che più lo tafanavano e si pigliavano gioco di lui, e disse loro a muso duro:
– Badate, ragazzi: io non son venuto qui per essere il
vostro buffone. Io rispetto gli altri e voglio essere rispettato.
– Bravo berlicche! Hai parlato come un libro stampato!
– urlarono quei monelli, buttandosi via dalle matte risate: e uno di loro, più impertinente degli altri allungò la mano coll’idea di prendere il burattino per la punta del naso.
Ma non fece a tempo: perché Pinocchio stese la gamba sotto la tavola e gli consegnò una pedata negli stinchi.
– Ohi! che piedi duri! – urlò il ragazzo stropicciandosi
il livido che gli aveva fatto il burattino.
– E che gomiti!... anche più duri dei piedi! – disse un
altro che, per i suoi scherzi sguaiati, s’era beccata una gomitata nello stomaco.
Fatto sta che dopo quel calcio e quella gomitata Pinocchio acquistò subito la stima e la simpatia di tutti i ragazzi di scuola: e tutti gli facevano mille carezze e tutti gli volevano un bene dell’anima.
E anche il maestro se ne lodava, perché lo vedeva attento, studioso, intelligente, sempre il primo a entrare nella scuola, sempre l’ultimo a rizzarsi in piedi, a scuola finita.
Il solo difetto che avesse era quello di bazzicare troppi
compagni: e fra questi, c’erano molti monelli conosciutissimi per la loro poca voglia di studiare e di farsi onore.
Il maestro lo avvertiva tutti i giorni, e anche la buona
Fata non mancava di dirgli e di ripetergli più volte:
– Bada, Pinocchio! Quei tuoi compagnacci di scuola finiranno prima o poi col farti perdere l’amore allo studio e, forse forse, col tirarti addosso qualche grossa disgrazia.
– Non c’è pericolo! – rispondeva il burattino, facendo
una spallucciata e toccandosi coll’indice in mezzo alla
fronte, come per dire: «C’è tanto giudizio qui dentro!».
Ora avvenne che un bel giorno, mentre camminava
verso scuola, incontrò un branco dei soliti compagni, che andandogli incontro, gli dissero:
– Sai la gran notizia?
– No.
– Qui nel mare vicino è arrivato un Pesce-cane, grosso
come una montagna.
– Davvero?... Che sia quel medesimo Pesce-cane di
quando affogò il mio povero babbo?
– Noi andiamo alla spiaggia per vederlo. Vieni anche
tu?
– Io, no: voglio andare a scuola.
– Che t’importa della scuola? Alla scuola ci anderemo
domani. Con una lezione di più o con una di meno, si rimane sempre gli stessi somari.
– E il maestro che dirà?
– Il maestro si lascia dire. È pagato apposta per brontolare tutto il giorno.
– E la mia mamma?...
– Le mamme non sanno mai nulla, – risposero quei
malanni.
– Sapete che cosa farò? – disse Pinocchio. – Il Pescecane voglio vederlo per certe mie ragioni... ma anderò a vederlo dopo la scuola.
– Povero giucco! – ribatté uno del branco. – Che credi
che un pesce di quella grossezza voglia star lì a fare il comodo tuo? Appena s’è annoiato, piglia il dirizzone per un’altra parte, e allora chi s’è visto s’è visto.
– Quanto tempo ci vuole di qui alla spiaggia? – domandò il burattino.
– Fra un’ora, siamo bell’e andati e tornati.
– Dunque, via! e chi più corre, è più bravo! – gridò Pinocchio.
Dato così il segnale della partenza, quel branco di monelli, coi loro libri e i loro quaderni sotto il braccio, si messero a correre attraverso ai campi; e Pinocchio era sempre avanti a tutti: pareva che avesse le ali ai piedi.
Di tanto in tanto, voltandosi indietro, canzonava i suoi
compagni rimasti a una bella distanza, e nel vederli, ansanti, trafelati, polverosi e con tanto di lingua fuori, se la rideva proprio di cuore. Lo sciagurato in quel momento non sapeva a quali paure e a quali orribili disgrazie andava incontro!...

Comprensione del testo

  1. Cosa accade quando Pinocchio va a scuola?
  2. Perché i compagni lo prendono in giro?
  3. Quali scherzi gli fanno?
  4. Come reagisce Pinocchio?
  5. Cosa pensa il maestro di Pinocchio?
  6. Cosa consiglia la Fata Turchina a Pinocchio?
  7. Cosa propongono i compagni di scuola a Pinocchio?
Interpretazione del testo
  1. Cosa prova Pinocchio quando i compagni lo prendono in giro?
  2. Secondo te, fa bene a reagire?
  3. Perché Pinocchio non ascolta i consigli della Fata Turchina?

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